Come ogni tanto capita, chiamano la mia band (Massimo Giacon & The Blass ovvero io, Fabio, Diego e la pin up Micol), per suonare a un'inaugurazione di una serata per la presentazione di una rivista d'arte (Kritika). Non che non avessimo niente altro da fare, ma alla fine siamo sensibili alle lusinghe e abbiamo accettato.
Sono seguite le giornate delle prove, il solito rito dello smontaggio e rimontaggio della strumentazione. Questa volta abbiamo provveduto anche all'amplificazione, con le solite fatiche relative al trasporto di tutto con una sola macchina (quella di quel santo di Fabio Bozzetto, che suona la batteria).
Il locale è bello, spazioso, anche troppo fighetto per i miei gusti, cerchiamo di risolvere alla meno peggio il problema di suono, visto che rimbombano anche le scorreggie, ma in qualche modo riusciamo a mettere in piedi un set con un'acustica decente.
Non c'è molta gente, non sembra proprio un vernissage delle grandi occasioni, è zona Corso Como, ed è anche presto, in genere il nostro pubblico arriva verso la mezzanotte, mentre qui dovremmo suonare verso le 19.30. Comunque qualcuno arriva, qualcuno se ne va, visto che alle 20 non c'è ancora niente da bere.
Alle 20.10 arriva della piss beer a temperatura ambiente.
Alle 20.30 cominciamo a suonare, il pubblico è venuto più che altro per noi. Non è tanto, ma oltre ai nostri amici fedeli c'è gente simpatica, per cui partiamo di buonumore con la nostra scaletta. Tutto regolare, il pubblico si scalda, io in questa settimana sono dimagrito di 4 chili per cui faccio meno schifo del solito, al quarto brano abbiamo la situazione in pugno. All'inizio del quinto brano in scaletta noto il critico nonché direttore di Kritika (scusate il repeat), che fa grandi cenni di smettere.
foto di Giovanni Piazzalunga
Io non capisco e tiro avanti, seguono i nostri brani classici, Voodoo e Merendine. A metà di Merendine il critico aumenta la sua gestualità, pregandoci di smettere, io penso che sia successo qualcosa, del tipo sono arrivati i vigili (eppure suonavamo a volume abbastanza moderato), oppure a un malore in sala.
Chiedo se c'è qualche problema, ma non ci viene data spiegazione, una tipa che non ho mai visto prima ci guarda con aria incazzata e severa. Chiedo se almeno possiamo terminare il concerto con un brano e lei sibila qualcosa "sì, ma fuori di qui".
Per il resto della serata mi chiederò cosa abbiamo fatto di male, in fondo è il nostro solito concerto un po' ingenuo e un po' da spettacolo per bambini cattivi, condito da giocattoli, punk-new wave-cabaret-avangarde (lo so, è difficile etichettare quel che facciamo, non ci riesco nemmeno io), con Micol che balla felice e io che faccio il divo del rock un po' andato via con la testa a causa dell'età.
Alla fine capisco che il nostro concerto è stato bloccato poichè la tenutaria del bordello, pardon, studio di architettura, che ospita la serata non gradisce la nostra musica.
"non eravamo preparati a questo spettacolo e alla vocalità del signore e poi questo è uno studio di architettura". Cazzo. Questo l'aggiungo io a puro titolo gratuito.
Sono cose che tutti adorano sentire. A parte il fatto che la scusa sullo studio di architettura la trovo molto originale, potrei obbiettare che abbiamo suonato già in Triennale, il nostro video è andato alla Biennale, e che Mendini e Sottsass, con cui ho lavorato, si sono sempre divertiti con le mie performance musicali, ma non è il caso di insistere, mi sembra.
In silenzio, e tra i mugugni del pubblico che (prima) se la stava spassando, smontiamo il tutto, nel frattempo mi chiedo chi me lo faccia fare di sopportare queste fatiche e queste umiliazioni a 50 anni passati, ma in fondo sono contento, trovare qualcuno che si scandalizza e reagisce in maniera così palesemente ostile è davvero difficile al giorno d'oggi.
Ci siamo trovati di fronte a un palese caso di mancanza di comunicazione tra chi organizza l'evento e chi lo ospita.
Uno degli spettatori confessa a Diego (il bassista) che è arrivato oggi a Milano dopo un paio di anni a Londra, e che vedere questa situazione gli ha già fatto voglia di tornare in Inghilterra.
Alle 21.30 siamo già in strada, lo studio d'architettura chiude frettolosamente le saracinesche, io sfilo quel che c'è nel portafoglio a titolo di rimborso al critico di Kritica, che poveretto ci ha coinvolto nella serata di cui era ospite con la rivista, E' molto imbarazzato ed è in una posizione di difesa che lo fa somigliare a un paguro.
Non ho voglia di infierire ulteriormente, mi sembra già abbastanza provato, ha già litigato con gli architetti, con le tipe che hanno organizzanto l'evento e insomma ha esaurito anche le parole di disappunto.
Micol è già andata, ha un sacco di lavoro arretrato e va a scrivere sui Navigli, è stata gentile e disponibile come sempre, ma evidentemente anche per lei tutto ha un limite.
Noi e i nostri amici andiamo a mangiare in una pizzeria-bettola incastonata in zona Corso Como, che sopravvive tra il mignottame dell'Hollywood, nel quartiere monopolizzato da Fabrizio Corona da una parte e le sorelle Sozzani dall'altra. Stranamente non siamo depressi, anche perché che cazzo centravamo noi in quel contesto?
Si dirà che è una magra consolazione, ma al momento ci basta, certo potevamo fare casino e scatenare una rissa, ma a differenza di quel che si può pensare vedendoci, siamo persone educate e gentili, il che a quanto pare non serve a niente.
Come diceva un tempo Freak Antoni "non c'è gusto in Italia ad essere intelligenti", ma in realtà non c'è nemmeno gusto ad essere "stupidi".
foto di Josè Sala