sabato 14 dicembre 2013

Illustri attori


Questa è la mia prefazione per la mostra Illustri, curata da Ale Giorgini, è una mostra bellissima, io non ci posso essere, ma per farmi perdonare, e visto che tutti sono stati così carini da chiedermi di scrivere un'introduzione, la condivido con tutti qui, anche se oggi il blog non sembra rispondere e chissà chi la leggerà mai...




Illustri attori
di Massimo Giacon
(artista, insegnante, comic maker, designer,i llustratore, rockstar in pensione)

Scusi, la sua professione? 
"faccio fumetti".
Eh?
"faccio l'illustratore".
Ah, Ok.
Chissà perché quando ho a che fare con le istituzioni la prima risposta crea una seconda domanda mentre la seconda tranquillizza e mette tutti in pace, evidentemente si tratta di una professione rispettabile, anche se suppongo che il : carabiniere-funzionario di banca-impiegato delle poste- agente delle tasse- commercialista- idraulico- spedizionere- tassista etc etc abbia solo un'idea abbastanza vaga su cosa voglia dire essere un illustratore di professione. Su, dai, è quello che ha il compito di riempire lo spazio tra un blocco di testo e l'altro nei giornali che leggi… Hum , mi correggo, che ogni tanto sfogli prima di una visita medica o dalla parrucchiera o al bar mentre bevi il caffè…No l'illustratore non è quello che fa i diagrammi che spiegano quanti soldi stiamo perdendo ogni giorno, o che raffigura con un disegno schematico e dettagliato come è avvenuto l'incidente il caso di cronaca nera lo tsunami il terremoto l'inondazione l'omicidio di Cogne i luoghi dove si appostava il mostro di Firenze come funzionano i Google Glass come si prepara il sushi con un tocco di fantasia partenopea, o meglio sì, l'illustratore è anche quello, ma questi qui che stai vedendo in questo catalogo sono diversi, non sono più nobili o più importanti. Sono diversi…E pubblicano soprattutto all'estero.
Estero?
Pubblicano in America!
Aaaaah, ooohhh! America!!! Però! Allora devono essere bravi!
Per la persona mediamente acculturata che vive in Italia purtroppo la parola America è ancora un sostantivo che accostato a un individuo X ne accresce il prestigio, America probabilmente è una parola che evoca ancora memorie ataviche legate alle navi piene di immigrati italiani che indicano con voce tremante la Statua della Libertà : A-A-A Ammericaaaaa!
E' vero, si tratta di una generazione di illustratori che pubblicano (anche) in America. Ma nessuno di loro vive lì, pur lavorando per molte riviste molto radicate nella quotidianità americana. 
Un artista che viene dall'estero (o anche dalla provincia americana), se vuole iniziare a combinare qualcosa nel mondo dell'arte che conta in America si deve trasferire a New York oppure a Los Angeles. Non ci deve fare una vacanza, nè starci per qualche mese, né starci per un anno, deve viverci. Altrimenti un gallerista che ti giudica interessante non investirà mai su d i te, i suoi collezionisti vogliono conoscerti, frequentarti, diventare i tuoi amici, uscire con te, vederti ai parties, altrimenti non funzionerà.Gli americani vogliono il tuo corpo in ostaggio. Era così nel passato, e Internet non ha molto modificato questa linea di pensiero. 
Gli Illustratori invece sono l'avanguardia di un nuovo modo di lavorare : internazionali ma legati alla vita in casa, connessi ma allo stesso tempo riservati. Se vanno alle feste lo fanno per divertirsi. Se viaggiano lo fanno per conoscere, non per disperazione. 
Sono stati in giro per il mondo e poi sono tornati a casa, hanno preso contatti interessanti e se li sono pian piano coltivati, come il basilico sul terrazzo. Usano mezzi tecnologici, ma anche tecniche antiche (la serigrafia, il feltro, le carte ritagliate). 
A differenza di un artista, che può vivere per tutta la vita di un idea unica coniugata con stile, gli illustratori sono costretti ad avere ogni volta un'idea diversa, interpretandola in maniera diretta, efficace, sintetica il più possibile.
Immagino quanta fatica abbiano fatto, partendo dal'entusiasmo ormonale - adolescenziale che invece ti spinge a riempire tutto, a spruzzare di seme creativo la pagina senza lasciare spazi vuoti. Immagino soprattutto quanti fogli zeppi di personaggi fantasy e biomeccanici e manga e robottoni e fatine floreali e motociclette e macchine da corsa e muscoli ipertrofici ed eroine mammellute e armi impossibili da imbracciare e mostri e zombies e vampire dark e vampiri dall'aria efebica ed ermafrodita e naturalmente nessuna idea prospettica né sulla natura né sull'architettura siano stati sacrificati alla Dea della Creatività Banale prima di arrivare a questi risultati.
Immagino il giorno in cui si sono trovati con il loro stile in mano, ed era proprio quel giorno lì, quello che non avevano programmato, quello in cui si erano messi a disegnare dopo che erano mesi che scopiazzavano quell'autore che piaceva tanto, ma che maledicevano perché esisteva già prima di loro e avrebbero voluto tanto essere come lui, o magari avere una Time Machine vera per tornare indietro ed ammazzarlo, sostituendosi a lui in un secondo tempo.
Chi disegna guarda i disegni degli altri con occhio diverso dalla persona comune. Non vede solo un'immagine e il suo significato, ma visualizza anche il gesto, il tavolo da disegno, la mano che in quel punto è scivolata, e allora è saltato fuori quel tratto imprevisto, frutto del tentativo di correggere quello sbaffo, di coprire quella macchia. 
Un disegno mi racconta molto della persona che l'ha eseguito: se quel giorno l'autore si sentiva insicuro e allora ha corretto 10 volte quella posizione perché non andava mai bene, oppure se era preoccupato perché non gli avevano fatto ancora il bonifico e allora l'illustrazione per il settimanale economico era venuta particolarmente deprimente, oppure era stanco perché aveva mille altri lavori da fare e allora per quella rubrica di moda aveva avuto un'idea sintetica e bellissima che con pochi elementi risolveva la questione, e anche il problema della tempistica.
I tempi di consegna sono uno degli altri incubi dell'illustratore: Il tempo non è mai abbastanza e resta sempre il rimpianto per aver trovato una soluzione di ripiego, mentre con maggior tempo a disposizione il lavoro sarebbe venuto molto meglio, molto più ricco, molto più dettagliato, molto più intelligente. 
Molto probabilmente il tempo in più sarebbe stato sprecato uscendo a ubriacarsi con gli amici, giocando ai videogiochi, partecipando a un flame su facebook, litigando con il fidanzato o masturbandosi. 
Cari illustri, alcuni di voi li conosco bene personalmente, di altri conosco solo il lavoro, e di alcuni ho visto le immagini per la prima volta proprio in questa occasione, ma voglio bene a tutti in egual misura, perché le vostre notti insonni perdute per una consegna sono state le mie notti insonni, perché la vostra voglia di piangere di fronte a un' illustrazione venuta male dopo una giornata di duro lavoro è stata anche la mia voglia di piangere, il senso di appagamento quando quel lavoro era finalmente finito e ce l'avevi tutto steso li',sul letto, sul desktop, sulla scrivania è stato anche il mio, perché il senso di meraviglia nei confronti di quello che riuscivate a tirar fuori dalla vostra matita indipendentemente da quanto vi sentivate inadeguati e inesperti era anche il mio, perché le frustrazioni nelle conversazioni con clienti che tra le proposte e varianti di un'illustrazione commissionata sceglievano invariabilmente quella mediocre sono state anche le mie, perché il piacere nel mettere ordine sulla la scrivania, temperare le matite e preparare il tavolo dove disegniamo prima di iniziare ogni giorno questo lavoro fottuto e meraviglioso è anche il mio, ogni giorno, again and again. 






domenica 25 agosto 2013

Trax & Traxman

Nell'arco di 5 anni, con Vittore Baroni inventai il personaggio di Traxman, che è stato un pò la mascotte del progetto Trax di Vittore, Piermario Ciani e me. In questo bel testo in inglese Vittore parla in maniera estesa di tutto quello che è stata la nostra collaborazione, io sono riuscito a recuperare invece alcuni materiali visivi a corredo del testo.
TRAX was founded after a brain-storming, actually a meeting in a coffee bar one afternoon while attending a new wave festival, between Piermario Ciani (who thought up the name TRAX and the main guidelines, hence he was TRAX Unit 01), me (Unit 02) and Massimo Giacon (Unit 03). We lived in different towns with hundreds of kilometres between us, so we were mostly “networking” through the mail and phone, meeting only a couple of times a year. We met through exchanges of our ‘zines and fortuitous contacts in the musical underground. Then there were a dozen other TRAX Central Units (persons who produced at least one TRAX item) and approximately five hundred TRAX Peripheral Units in seven years (persons who participated to at least one TRAX project). Piermario (sadly deceased from cancer in 2006) was helping out in the family business at the time, a small bakery, by delivering the bread early in the morning and taking care of the administration. He was also working as a freelance professional photographer and graphic artist mainly for local rock bands (collectively known as The Great Complotto), so his home in Bertiolo, a very small village in the country near Udine, was always an intersection of interesting creative people: punks, comics artists, etc. He was behind many underground projects, fanzines, festivals and exhibitions, plus the conceptual band Mind Invaders. Massimo, a few years younger than me and Piermario, was still a student at the time, just starting his career as a professional comics artist (on the pages of national magazines like Il Mago, Alter, Frigidaire) and playing with his own band Spirocheta Pergoli (later I Nipoti del Faraone) weird songs, a la Residents, that were a stable presence in TRAX products. Giacon turned out to be the more successful of us three, in his artistic career: he still publishes comics and illustrations (in fact, I just reviewed his last graphic novel Boy Rocket), but he has worked a lot as a “neo-Pop” gallery artist and as a graphic designer of objects for top studios and firms like Memphis, Swatch, Alessi.
Since we're discussing Massimo's comics work, I'm interested in the role comics played in the TRAX releases- this seems to be a fairly unique feature when compared with other cassette releases of the time, or other 'mini multi-media' offerings (actually I can think of few 'indie' labels, period, who have released comics-and-music packages.)

Even before I learned to read, I was an avid consumer of comics, and I never really stopped, it is a form of verbo-visual expression that fits perfectly with my own range of tastes, just like rock music or horror movies. Rock and comics both represent, for people born in the Fifties like me (but also for later generations) a form of intrinsic and instinctive revolt to official culture: the perfect media to express dissent and to explore or create new languages. Massimo Giacon was of course a big comics fan, to a lesser degree also Ciani and other TRAX collaborators, so when the TRAX project took shape, it seemed very natural and obvious to include Giacon’s comics in most audio-visual products (as well as his music.) In addition to single short stories and illustrations also by other comics authors (like Johnny Grieco or Davide Toffolo), we created a serialized “long story” of the adventures of the superhero Traxman. With Giacon’s drawings and my own scripts, this appeared in various TRAX booklets and catalogues in a black and white version.


Later, we perfected this story in a re-drawn colour version, that was serialized in the pages of Tempi Supplementari, a nationally distributed magazine published as a supplement to the trend-setting Frigidaire (a magazine that in the early Eighties revolutionized the Italian comics scene, introducing to a large audience new authors like Pazienza, Tamburini, Liberatore, Mattioli, etc.) The Traxman adventures were a sort of spoof thriller-sci-fi epic that both parodied the stereotypes of characters like Spirit or Superman and included the main TRAX players (me, Ciani, Ciullini, Ayers, etc.) in fictionalized form. It was a meta-comic that assumed whole new meanings if you read it knowing the history of the various TRAX members... Unfortunately, just when the Traxman adventures were ready to be collected in book format, Frigidaire found itself financially in bad waters, so the project was shelved.




I do not think anyway that TRAX was the only tape label interested in comics, there were many in DDAA’s French Illusion Production, Charles Burns designing the graphics for early Sub Pop items also comes to mind (when Sub Pop was still a small zine releasing cassettes!), I’m sure there are many other examples. Actually, in 1984 with materials from my collection I curated for the town art museum of Forte dei Marmi the exhibition Nuvole Rotolanti (“rolling clouds”, the comics’ balloon being nicknamed “cloud” in Italy) that was a wide exploration of all kinds of interferences between rock and comics. Massimo Giacon was one of the guests performing at the show, the Spirocheta Pergoli 12” EP TRAX 0784 - Fuzzi Bugsi tumpa il bongo! was published as “catalogue” of the event, and the record was based on a story that Giacon had just published in the monthly comics magazine Alter. I was very disappointed by the book by Ian Shirley Can Rock & Roll Save the World? - An Illustrated History of Music and Comics (SAF, 2005), because it failed to even mention Giacon, Igort, Carpinteri, Archer Prewitt, a whole load of artists/musicians that produced an incredible wealth of work on the thin line between comics and music.
Vittore Baroni, 2009



mercoledì 7 agosto 2013

Spirocheta Pergoli: Romero's Living Dead

In questi giorni mi è arrivato un cd. E' una compilation della Strut records, bella etichetta tedesca, che recupera un bel po' di band degli anni '80, alcune semi-dimenticate, per una antologia storica. Fa una certa impressione, anche ad ascoltarla, per esempio 3 quarti delle band hanno lo stesso suono di batteria (haha). Della mia vecchia Band , gli Spirocheta Pergoli, è stato scelto un brano anomalo, dove non canto (o forse è stato scelto forse per quello), uno strumentale.
Quella che segue è anche una piccola intervista, che compare nel booklet allegato al cd, con la storia di tutte le varie band e della genesi dei vari brani musicali, l'intervista è di Andrea Pomini .
Ringrazio lui, ma soprattutto Alessio Natalizia per aver curato in maniera così certosina l'antologia, (fa un certo effetto), e ringrazio naturalmente Alberto Mineo e Fabio Beltrame che contribuirono materialmente al brano, ed Enrico Friso, il tastierista del gruppo, che il giorno dell'incisione chissà dov'era, ma senza il quale non avremmo avuto le caratteristiche tastierine sghembe che compaiono in tutto il resto della nostra produzione.


- mi fai una breve storia degli Spirocheta Pergoli? mi interessa soprattutto la "visione" dietro la formazione del gruppo, le motivazioni che ve li hanno fatti formare, il genere di cose che volevate fare e che vi hanno portato a suonare insieme, i riferimenti (non solo musicali) italiani e stranieri che avevate...
Io facevo già fumetti. Non pubblicavo ancora per le riviste, ma a 18 anni avevo già un cospicuo curriculum di partecipazioni a fanzines, autoproduzioni e altro, mi inventavo nomi di band assurde insieme a storie che avevano a che fare con la musica dell'epoca, e a un certo punto in piena ondata punk (era il 1979), ho pensato che tutto sommato non ci voleva molto a mettere su un gruppo. Mi piacevano molto i Devo, ma successivamente anche i Residents, i Tuxedomoon, tutta la scena punk di S. Francisco. Mi sembrava "la musica delle possibilità", in più avevo assorbito a 16-17 anni tutto il primo Eno, quello canzonettaro, (mi piaceva molto il suo modo originale di avvicinarsi alla forma canzone). Mi piaceva pure il fatto che all'interno di band mitiche come i Suicide, Contortions e Pop Group operassero dei musicisti che non sapevano palesemente suonare, riuscendo comunque a ricavare musica di qualità. Contemporaneamente veneravo magnifici perdenti come Jannacci, Ciampi, i Balordi, mi piacevano le musiche di Carosello e dello Zecchino d'Oro, e ci tenevo molto al fatto che al nostro progetto venisse data un impronta moderna ma non troppo esterofila. Dopotutto la musica per rumori l'avevamo inventata noi italiani con Russolo, e il mio modo di disegnare si avvicinava a Depero, quindi in qualche modo tutto quadrò. Insieme a due miei coetanei, Alberto Mineo alla chitarra ed Enrico Friso alla tastiera (un'imitazione Farfisa che aveva rubato alla sorella più piccola), passavamo interi pomeriggi a manipolare nastri e a sovraincidere su vecchi registratori a bobine, scoprendo come si potevano "suonare" vecchie radio o vecchi stereo e come re-inventarci delle canzoncine cattive. In genere i nostri concerti erano un disastro, noi sembravamo un gruppo abbastanza precario, praticamente i nostri strumenti erano tenuti insieme con il nastro adesivo.



- il vostro brano nella compilation è "Romero's Living Dead". mi parli del pezzo? come è nato, di cosa parla, aneddoti riguardanti la sua scrittura e/o registrazione, etc.
Ogni tanto andavamo in una sala di registrazione che un contadino con il pallino della musica si era costruito in un paese desolato, stava in mezzo al bosco, e sembrava uno hobbit barbuto, Lui si divertiva un mondo con noi, ci faceva provare i suoi strumenti a percussione autocostruiti e usare il suo 8 tracce a bobine. Durante una di queste sessioni è nata la sezione ritmica del pezzo, naturalmente abbastanza tribale, in un secondo tempo abbiamo aggiunto la chitarra. Era una Hofner degli anni '50, un' imitazione Fender, ma in aggiunta era piena di tasti dalle funzioni a noi sconosciute. Quando veniva accoppiata a un distorsore riusciva a produrre una sorta di miagolio che non aveva uguali. Per finire io ho aggiunto due cose: registravo sempre un sacco di frammenti sonori dall'audio del televisore, e scelsi un pezzo con una donna che urlava, preso da uno dei tanti telefilm di ambientazione medica, per la precisione era una donna a cui avevano diagnosticato un tumore al cervello (nella fiction, ovvio). Le ultime spezie usate come condimento del brano furono delle frequenze casuali, perché collegando in maniera non canonica l'amplificatore del mio stereo a un registratore avevo scoperto che si producevano delle frequenze simili a un synth, ma meno controllabili, che si potevano modulare attraverso una delle manopole dei volumi. Il risultato fu questo pezzo, che pubblicammo su una cassetta Trax, etichetta-gruppo artistico di Vittore Baroni e Piermario Ciani, con cui partecipai ad anni di malefatte. Il brano era molto cupo e ovattato, sembrava registrato all'interno del tubo digerente, e nonostante le nuove e meravigliose tecnologie di missaggio e filtraggio non sono riuscito a migliorarlo nemmeno un po'. E' una marcia, è un omaggio agli zombie di Romero, me li vedevo avanzare inesorabilmente al suono di questa specie di musica. 



- cosa ricordi di quegli anni in italia, della sperimentazione musicale che voi e altri affrontavate? come era la reazione del pubblico, ad esempio?
Il pubblico era sempre abbastanza sotto shock, perché noi ci presentavamo come persone timide, molto gentili e miti, poi sul palco facevamo sanguinare le orecchie degli spettatori. L'effetto era sempre molto acido. Partendo dalla musica e arrivando alla mia vocetta impertinente e acuta non c'era molto spazio per farci benvolere, ma i pochi che amavano la nostra musica erano davvero entusiasti, anche se devo dire che in genere si trattava di persone con grossi problemi, non solo familiari, ma anche mentali, e non è una battuta.




- e del clima sociale e politico, cosa ricordate? 
Gli Spirocheta Pergoli erano un gruppo schierato in qualche maniera?
Padova in quel periodo era una città molto particolare, estremamente politicizzata. All'Università insegnava Toni Negri, e la città dagli anni '70 aveva vissuto una lotta di quartiere tra estremisti fascisti e l'Autonomia Operaia. Ciò produceva una tensione continua, ma anche un dibattito politico molto sentito dalle persone della mia generazione. I creativi come me spesso facevano la figura dei fessi, e riuscivo a prendere le botte un po' da tutti: dai fascisti, dalla polizia durante le manifestazioni e rischiavo di prenderle pure dai militanti di Autonomia Operaia per la mia autonomia intellettuale che evidentemente a lor detta non aveva molto di operaio, ma era anarcoide e basta. Radio Sherwood era la radio del Movimento, e accortasi che a forza di jazz e di gruppi folk nel 1980 rischiava di perdere il tram, decise di fare una specie di festival punk-new-wave. Chiamarono anche noi, e quello fu il nostro primo concerto, e chi era al Teatro Ruzante quella sera si ricorda di noi ancora nei suoi incubi, o nei suoi sogni migliori, questione di punti di vista.

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domenica 28 luglio 2013

Intervista per Flash Art

Questa è l'intervista apparsa su flash art di Aprile-Maggio, a firma di Damiano Gulli, ne è risultata una specie di mappa storica che includeva vari altri gruppi, movimenti, flussi e riflussi.


Fumettista, grafico, artista, musicista, designer, performer...uno degli aggettivi più utilizzati per definire il tuo lavoro è poliedrico...ma tu come ti definiresti?

C'era una vecchia definizione che usava il gruppo Valvoline negli anni '80, ed era "ingegnere dei media", credo l'avesse coniata Igort. Certo a sentirla adesso fa un po' ridere, suona abbastanza presuntuosa, ma era un periodo in cui si sentiva il bisogno di esserlo, e pure di essere antipatici. Forse il termine più semplice è diretto potrebbe essere "artista", l'artista in fondo è sempre poliedrico,  (una buona parte degli artisti lo sono), senza tirare in ballo per forza Leonardo da Vinci.



Inizi nel 1980 disegnando fumetti per la rivista Il Mago, e poi Frigidaire, Linus, Alter Alter...raccontaci il tuo percorso...
Ho iniziato facendo fumetti per le riviste sovracitate, contemporaneamente però ero interessato ad altro: per esempio con Piermario Ciani e Vittore Baroni fondammo Trax, sigla artistica con cui in maniera abbastanza incosciente gettavamo le basi per un arte che pensavamo meno elitaria, fuori dai musei e dalle gallerie, sfruttando quella rete prima della rete che era il circuito postale, e di fatto concependo un tipo di arte diffusa, globale, economica e democratica, svuotata da star e personalismi, una specie di intelligenza senza una vera testa pensante, un organismo pluricellulare che inglobava il fumetto underground, la musica indie, l'Arte Postale, il punk, le fanzine autoprodotte, l'happening. Contemporaneamente facevo fumetti, c'erano riviste che pubblicavano quello che facevo e avevo tutta una generazione di autori con cui scontrarmi e confrontarmi.







I tuoi rapporti con il gruppo bolognese Valvoline?
Hai conosciuto Andrea Pazienza?
Come dicevo prima, con tutto il gruppo di Valvoline (a parte Mattotti, che era un po' più vecchio), eravamo coetanei, per cui molte letture e influenze culturali erano in comune, e anche se loro facevano parte di un gruppo molto definito ci siamo sempre confrontati, ricordo lunghissime discussioni sul futuro del fumetto con Igort, ma anche momenti molto piacevoli in cui abbiamo partecipato ad eventi culturali e musicali insieme, d'altra parte pubblicavamo sulle stesse riviste ed era inevitabile incontrarsi e anche sfidarsi, in una sorta di rivalità legata all'esplorazione di un media, il fumetto, che al momento ci sembrava colmo di sentieri e snodi ancora tutti da scoprire, come se fosse una specie di ricerca delle foci del Nilo nei primi del '900. Pazienza apparteneva a un momento immediatamente precedente, aveva aperto la strada, e in qualche modo aveva mostrato "che si poteva fare". Non avrei pensato di fare fumetti in un certo modo senza il suo "Penthotal", ma come tutti i giovinastri ingrati dopo un paio di anni di professione lo snobbavamo un po', non gli perdonavamo di buttare via il suo talento in cazzate, noi pensavamo di essere più progettuali, poi alla fine la storia  ha dato a Cesare quel che è di Cesare e ad Andrea quel che era di Andrea, e messo un macigno sopra la mia presunzione .


I famigerati anni ottanta! La “Milano da bere”, l'”edonismo reganiano”, il boom del Made in Italy, della Transavanguardia...Anni vivacissimi, le cui influenze in arte e sulla moda sono ancora oggi molto forti, ma per certi versi quasi rimossi e guardati con sospetto...
Come li hai vissuti? Che ricordi hai?
Posso vantarmi di non essere mai stato un fan dei Duran Duran o delle spalle imbottite di Armani, se per questo. La Milano degli anni '80 per me era un territorio da scoprire, venivo dalla provincia, ma noi provinciali sappiamo essere più snob dei cittadini. Gli anni '80, hai detto bene, sono ricordati per tutte le cose che hai detto, per dei tagli di capelli improbabili e per i colori flou, ma contemporaneamente Memphis gettava le basi per un approccio completamente diverso al mondo del design e dell'oggetto, Devo, Pere Ubu, Pop Group, la No Wave, i Residents, i Throbbing Gristle, i Gang of Four modificavano in maniera radicale e politica la concezione della struttura della canzone e del suono, i graffiti di  Haring e Basquiat sono ancora oggi di bruciante attualità, e i fumetti di Frigidaire e Valvoline vengono ricordati oggi come tappe seminali per tutto quel che è successo dopo in Europa e in America, e con una certa presunzione posso dire che, come i futuristi dei primi del '900, il fumetto di quegli anni è stato uno degli ultimi fenomeni artistici italiani in grado di tenere il passo con l'arte internazionale, mentre la Transavanguardia a mio avviso è stato un… equivoco. E qui mi beccherò una tonnellata di critiche , ma è quello che penso, un movimento debole, fatto di pittori mediocri.



io e Mimì Colucci prima di un concerto-performance, 1984

Moebius e la scuola di Metal Hurlant, Robert Crumb...proviamo a ricostruire modelli e fonti nei tuoi fumetti...guardando anche ai disegnatori italiani...
Sicuramente c'è tutto il Will Eisner di Spirit, ma andando indietro c'è il Little Nemo di Winsor mcCay, e non posso dimenticare la scuola Marvel di Romita e di quel gigante che è stato Jack Kirby, (senza di lui la pop art non sarebbe stata la stessa cosa). Poi per gli italiani ho un sacco di padri illustri, da Sergio Tofano a Jacovitti, ma anche autori meno conosciuti come Luciano Bottaro, Lino Landolfi e il grande De Luca de Il Commissario Spada sono stati per me una grande fonte formativa, ma d'altra parte sono sempre stato un grande macinatore di immagini, sin da piccolo.
Quando ero piccolo vivevo in una casa molto fredda, e io e mia sorella stavamo spesso a casa con malattie alle vie respiratorie. Nei lunghi giorni di convalescenza i libri illustrati mi salvavano la vita, e anche se non leggevo guardavo le figure. Avevamo l'enciclopedia dell'arte "le Muse", e così, in maniera inconsapevole, ho assimilato tutta l'arte classica e moderna in maniera acritica, trasversale, e rigorosamente in ordine alfabetico.

Walt Disney

Nel 1985 inizi a collaborare con lo Studio Sottsass Associati. Come è stato lavorare con Ettore Sottsass?
Nella mia vita posso dire di aver conosciuto qualche grand'uomo, e uno di questi era proprio Ettore. Lui mi chiamò la prima volta per collaborare a un progetto di un ristorante in California. Voleva che trasformassi il progetto in una storia a fumetti, facendo capire come la gente lo avrebbe vissuto, per cui immaginai (su testo di mia sorella), una storia con due persone che si innamoravano e si lasciavano nell'arco di una giornata attraversando i locali di questo edificio. Il committente trovò questa presentazione orribile e del ristorante non se ne fece nulla , ma Ettore disse "questo qui non capisce un cazzo", e da lì nacque la nostra amicizia, che proseguì fino alla sua morte, con varie collaborazioni. Ettore mi ha sempre trattato con grande rispetto, e nonostante la differenza di età non c'è mai stato tra noi un rapporto "allievo-maestro", anzi era lui a chiamarmi "maestro" quando ci trovavamo, ma penso fosse più per il gusto di vedermi arrossire. Era una persona molto disponibile, ed estremamente divertente. Lui si prestava anche ai miei progetti più strani, una volta l'ho fatto cantare in uno dei miei dischi, e quando lo faceva ascoltare ai suoi amici diceva "Massimo mi ha fatto dire delle cose assurde!".

Snaporazz restaurant, visualizzazione progetto ristorante in California, Sottsass associati, 1984


E poi altre due progettisti, Matteo Thun e Alessandro Mendini, sono state figure importanti per te...
Con Matteo ho lavorato a un progetto molto interessante, un parco a tema in Germania, fatto dalla Philips, il progetto ruotava intorno a una specie di antenata delle moderne consolle per videogiochi, un prodotto che doveva fare il botto ma che non decollò mai, per cui anche il parco giochi venne presto smantellato, e fu un vero peccato dal momento che avevamo messo sul piatto un sacco di idee progettuali folli. Al tempo c'erano anche molti soldi buttare, peccato non averli potuti sfruttare al meglio… Alessandro Mendini è stato il mio biglietto di ingresso nel mondo Swatch, lo conoscevo per via di Ettore, anche se negli anni '80 c'era una certa rivalità tra i due, (a onor del vero più da parte di Ettore che di Alessandro). Alessandro è sempre stato una persona estremamente curiosa e disinteressata, e nel corso di 30 anni i nostri percorsi si sono incrociati più volte, due anni fa mi chiese anche di fare un fumetto su di lui e Cattelan per Domus, e ora mi ha proposto di progettare una piccola scultura ritraente Alberto Alessi, per una sua installazione per Triennale Design Museum.


La forbice fra arte e design si sta in molti casi stringendo sempre più generando un fenomeno ibrido come quello dell'art-design. Cosa ne pensi? Tu stesso realizzi pezzi unici o in serie limitata...
Trovo sia abbastanza inevitabile, credo che in parte sia dovuto alla crisi, e in tempi di crisi è difficile vendere arte concettuale, il mercato vuole qualcosa di più concreto, e per non sentirsi retroguardia (appoggiando il ritorno alla pittura) preferisce indirizzarsi nel design-pezzo unico (o a tiratura limitata), questo forse dà al collezionista la sensazione di essere più contemporaneo. Il design è un mondo di professionalità molto variegato, dove confluisce l'antica manualità artigiana, ma anche le nuove tecniche di produzione e materiali dalle tecnologie in costante evoluzione. A differenza dell'arte, in cui un taglio al laser o una stampa digitale su tela passano rapidamente di moda, nel mondo del art-design anche una tecnica antichissima come la ceramica può ancora riservare delle sorprese.

Mi sembra di riscontrare una forte coerenza quando ti misuri con i diversi ambiti del progetto...Come avviene però il passaggio, o la trasposizione, dalla bidimensionalità (fumetto, grafica) alla tridimensionalità (design, scultura)? 
All'inizio fu abbastanza scioccante,  perché finché si trattava di disegnare dei decori che andavano applicati sugli oggetti il lavoro era abbastanza semplice, dovevo solo immaginare un bidimensionale su una forma tridimensionale, ma progettare un oggetto fisico era un altro paio di maniche. Poi ho pensato che la dura scuola del disegnatore di fumetti ti porta a dover fare i conti costantemente con un piccolo mondo in cui dare coerenza a tutti i pezzi, e che questi pezzi non sono solo i personaggi e le sequenze narrative, ma anche gli spazi, gli interni, gli alberi le montagne i vestiti e gli oggetti, e gli oggetti fanno parte della storia che vuoi raccontare, non sono semplici accessori, e da quel momento disegnare oggetti è stato più facile.



E come convivono il tuo muoverti in contesti più indie e underground come il fumetto e la musica e il confronto con aziende “istituzionali” come Alessi e Swatch? 
Cerco di non scindere troppo le cose, nel senso che non cerco di alimentare una schizofrenia in cui quando sono underground faccio un po' quel che mi pare mentre quando entro nel mondo della produzione timbro il cartellino e mi metto a pensare da industriale. Per  i miei lavori industriali cerco di non pormi troppi limiti, ma con un po' di sale in zucca. Non mi va di fare il lavoro 10 volte per trovare poi il prodotto che potenzialmente accontenta tutti, anche perché è obiettivamente impossibile, se avessi trovato questa formula farei sempre oggetti che vendono moltissimo. Mi pongo il problema che si deve trattare comunque di un'estensione del mio mondo, e di trovare i punti di convergenza tra il mio mondo e quello del committente. D'altra parte se un committente cerca me vuol dire che questo punto di contatto già esiste, e allora si parte da lì, più che dalla progettazione a tavolino di un "oggetto per tutti". Non esistono oggetti di design universali, a parte gli oggetti Apple, maledizione.

tessuto Memphis, 1990

La committenza incide sulle tue modalità progettuali? Mi sembra di ricordare un'intervista in cui raccontavi che per gli Swatch che hai disegnato negli anni novanta avevi pensato ad altri nomi, ma la casa madre all'epoca aveva optato per qualcosa di immediatamente più riconoscibile e riconducibile a te, come “Gulp” e Crash”...
Più che riconducibile a me, era riconducibile a una visione generica del mondo del fumetto, e dal momento che disegnavo fumetti i nomi Gulp e Crash andavano bene, no? Io non ricordo nemmeno i nomi avevo dato in origine, ma probabilmente avevano ragione loro. Quando anni dopo la Swatch mi richiamò per disegnare un nuovo orologio, disegnai un quadrante con due mostri gemelli che si mordevano la coda e lo intitolai "The Twitch Twins", che mi sembrava un divertente gioco di parole (in inglese suona un po' come "I gemelli Strapponi"). Il guaio fu che da una parte gli italiani non conoscevano bene l'inglese, dall'altra che foneticamente il nome era impronunciabile e suonava male, ma la Swatch rispettò la mia volontà d'autore. Morale della favola: quell'orologio vendette molto meno degli altri, e mi immagino ancora quelli dell'ufficio marketing e darsi di gomito e dirsi tra di loro "visto? Mai dare troppa libertà ai creativi!".


I tuoi lavori a uno sguardo superficiale sembrano estremamente vivaci e gioiosi. In realtà, sono riflessioni dure e amare sulla corruzione e malattia della società, sulla perdita di innocenza, sulla banalizzazione ed estremizzazione del sesso. Penso, ad esempio, alla recente serie “The Pop will eat himself”, a Mr. Suicide (il tappo per vasca da bagno antropomorfo del 2000 disegnato per Alessi), al Popeye project, del 2007, o alla serie Sexorcismo, del 2000... Possiamo parlare di pessimismo, di cinismo o di semplice e crudo realismo?
Non sono cinico, anzi, a dire la verità il cinismo mi ha molto stancato. Se giriamo su facebook troviamo spesso dei vari status in cui si fa a gara su chi se ne esce con la battuta più cinica e amorale. Io non sono così, sono casomai acido, ma pervaso da una specie di "pietas" nei confronti delle umani debolezze. Non ne sono schifato, ma ne sono partecipe, e a volte ne sento il peso, sento il peso della Storia, e di tutte le scelte sbagliate. Probabilmente è derivato dall'aver fatto le elementari dalle suore. 

Il tuo progetto più riuscito?
Mi ero divertito molto con il progetto di Sexorcismo, il fatto di aver elaborato una mostra sul sesso sadomaso, i suoi rituali, e aver trovato una formula circense e gioiosa che metteva insieme disegno, pittura, performance, installazione e rock'n roll mi ha soddisfatto davvero. Devo dire che questo fu anche merito della galleria LipanjePuntin che all'epoca appoggiò in pieno questo progetto, che più che un progetto fu una vera esperienza, per me, per i miei collaboratori, per la galleria e per gli spettatori.


E uno non realizzato?
Non uno, ma molti. Restano nel cassetto così tanti progetti, e tra libri mai usciti, oggetti e progetti di mostre ne ho collezionati diversi. Un giorno mi piacerebbe fare una mostra intitolata "idee che non porterò mai a termine e che regalo a qualcuno più capace di me". Tra queste un torneo di boxe per artisti in cui in palio c'è la possibilità di rimanere nel mondo dell'arte contemporanea (chi perde si trova un altro lavoro), un diario di un anno fatto di ritratti ai personaggi della televisione, una mostra di fumetti da osservare al microscopio, etc….


Dall'elettronica con gli Spirocheta Pergoli all'art-rock con I nipoti del faraone fino alle performance come vocalist con i The Blass. Come sintetizzare le tue esperienze nella musica?
E' sempre stata una parte di me, e pur non essendo un musicista in senso stretto ho sempre prodotto musica in tutti questi anni, e con una certa consapevolezza. Non è mai stata per me una forma di hobby, ma una estensione del lavoro, anche se ho potuto applicarmici solo in maniera sporadica. I miei concerti, per quelli che li han visti, hanno un apparato performativo molto forte, anche se realizzato con materiali poveri. Sono vari siparietti musicali, che non sono solo divertenti, ma nascondono qualcosa di inquietante sotto pelle. Sono come i miei disegni, dietro il sorrisone intravedi il disastro imminente. Ernesto Luciano Francalanci, prefatore della mia mostra alla Triennale, l'ha rilevato. Queste ceramiche fanno paura, mi diceva. Infatti non ha voluto venire all'inaugurazione.


E nel 1996 esce il tuo album da solista Horror Vacui. Mi sembra una vera propria dichiarazione di poetica per tutto il tuo lavoro...
Già, anche se nel nuovo libro che sto disegnando su testi di Tiziano Scarpa per la prima volta affronto gli spazi vuoti, e ne sono felice, forse non ho più bisogno di avere troppe cose intorno a me.


Cosa leggi, guardi, ascolti? E che influenze ha sui tuoi immaginari?
Sono un onnivoro, ma sopratutto sono un cannibale di letteratura di genere (gialli, horror, noir, fantascienza), anche se dopo tutti questi anni ne conosco troppo i meccanismi per farmi sorprendere, e per questo sono diventato più selettivo. Mi piacciono molto le serie televisive contemporanee, ma posso passare anche ore a commentare Masterchef Italia, oppure rileggermi qualsiasi cosa scritta da Burroughs (che in una sola pagina poteva aveva idee per 4 libri), e poi amo la poesia delle pagine di Ballard (che in un caso è riuscito a farmi piangere).  La mia playing list è davvero eclettica, ma deve contenere un elemento di disturbo, sono un fan della nota stonata. In questo momento ho appena ascoltato Satie, e mi appresto all'ascolto dell'ultimo disco solista di Jack White (ex White Stripes). 


Progetti futuri?
Nuove serie di oggetti Alessi, questo nuovo libro per Rizzoli Lizard  con Tiziano Scarpa di cui ti parlavo prima, una mostra a 4 al Museion di Bolzano con Diavù, Ale Giorgini e Alberto Corradi (disegnatori della scuderia di XL Magazine), una collaborazione con il Male di Vincino e Vauro,  delle lampade per Foscarini…


Un ultimo aneddoto: il tuo incontro con Tiziano Scarpa che ha portato alla realizzazione del libro Amami (Mondadori 2007)  vede in qualche modo coinvolta proprio Flash Art...
Certo! Si trattava della prima Flash Art Fair all'UNA Hotel di Milano, nel pieno della zona di Corso Como. Quando feci il primo sopralluogo all'hotel, dove ogni galleria aveva a disposizione una stanza (ancora con la Galleria LipanjePuntin, e grazie alla loro incoscienza), notai che tutto sommato non distava molto dall'estetica della stanza della casa di riposo in cui era morto mio padre, per cui feci un'istallazione furibonda, piena di rabbia,  dove ricreai la stanza di mio papà, con il suo pigiama steso sul letto, e le sue medicine e la dentiera sul comodino, poi riempii la stanza di pannoloni da anziano dentro cui avevo disegnato delle cacche in stile cartoon. Su un video avevo ricreato in 3D il volto di mio padre che con un'animazione parlava senza sonoro, dal labiale si capiva che stava dicendo "A M A M I". Nel bagno,  intanto, illuminati da una luce soffusa, erano stati appesi 100 disegnini con 100 personaggi che facevano cose terribili (uccidevano stupravano scopavano animali etc) dicendo "amami", e un nastro registrato riproduceva un bisbiglio di 100 voci che dicevano amami amami amami amamiiiii. Tiziano Scarpa (che mi conosceva già), passò a vedere la Fiera e si innamorò dell'installazione, manifestando il desiderio di trasformare i disegni in qualcosa di scritto… Questa idea venne realizzata anni dopo, per Mondadori (Oscar), Tiziano scrisse 60 raccontini partendo da 60 disegni selezionati da quel lavoro…  Una volta tanto  lo scritto nasceva dal disegno e non viceversa.  A volte i libri seguono strani percorsi…












sabato 20 luglio 2013

Cer-amiche

The Pop Will Eat Himself in Triennale, Febbraio 2013.
In tutti questi mesi non sono mai riuscito a postare il testo di Ernesto Luciano Francalanci, scritto appositamente per la presentazione delle mie ceramiche in Triennale, le ceramiche della serie The Pop Will Eat Himself, per intenderci, prodotte da Superego.
Tra le righe del testo si capisce che Luciano le trova terribili, e forse anche orribili, ma si tratta di un testo scritto talmente bene e talmente arguto che non lo potevo certo censurare, e poi forse era proprio nelle mie intenzioni produrre delle ceramiche terribili e orribili, e se qualcuno ha colto l'intenzione ne sono pure felice, tutti le trovano così divertenti! Purtroppo le linee lisce e pulite e i colori sgargianti ingannano...
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Ernesto L. Francalanci
Crampi. Paradoxa Emblemata
Un insieme attraente e repulsivo di torbidità, brillantezza, oscenità, violenza e cattolicesimo anima questi bad toys, Paradoxa Emblemata del Medioevo turpe del nostro tempo, non ammalati da curare, come vuole l’autore, ma incurabili presenze contaminanti, fingendo identità umanoidi: la loro fisiognomica dimostra la patologia gotica, realistica e didascalica dell’illustrazione anche quando cambia di peso.
Il torbido, ciò che oscura lo sguardo e che vela il pensiero profondo, ciò che l’analisi inutilmente rileva e rivela, ciò che si sottrae alla luce e alla chiarezza, ciò che non si deposita e rimane in sospensione; nessuna trasparenza nei  Paradoxa Emblemata, ma oscura torbidezza, disordine rumoroso e scompiglio impediscono il luminoso desiderio di sogno.
 La brillantezza, il Brill, ciò che si oppone all’incerto e alla sfumatura, ciò che risplende per patina artificiale e ceramica, ciò che finge lo splendore illuministico con metodi illuminotecnici; nessuno scintillio ludico nei  Paradoxa Emblemata, ma brillantinità della vernice e della civiltà del lucido.
L’osceno, ciò che estroverte l’interno segreto, ciò che non denuncia l’impudico, ciò che esalta l’ossesso, il deforme, l’informe e l’immondo, ciò che apre al cattivo augurio del kitsch: ciò che è indicibile; nessuna purezza di suono, di parola e di sguardo nei Paradoxa Emblemata, ma entità che godono sadicamente dell’inguardabile.
Il violento, ciò che viola la pace, ciò che produce unheimlich insopportabile, ciò che impone l’autobiografico, ciò che chiama mondo bizzarro il mondo delle perversioni sotto protezione estetica, al di qua del regno dell’orrore vero; nessuna compassione nei Paradoxa Emblemata, ma crudeltà e certezza del banale e del male.
Il cattolico: ciò che ha ridotto la religione ad una questione pagana; ciò che ha dato immagine apotropaica  al non pensabile, ciò che ha prodotto la foresta scaramantica abitata dalle figure del bene e del male: Liber monstruorum de diversis generis.  Al calare del sole, ogni cinque dicembre, nei paesi di lingua tedesca, salgono dall’inferno della tradizione cattolica, i Krampus, diavoli che costituiscono la corte del male che accompagna e integra la bianca magia del vescovo di Myra , colui che resuscitò i cinque fanciulli stuprati dall’oste. Krampf, granchio, convulsione, crampo; richiama l’invasamento diabolico e il dibattersi nello spasmo, è un essere adunco, che afferra e riporta chi cattura nell’oscurità del profondo. Nell’ultima processione in un paese di un nord non lontano centinaia di Krampus sfilavano confusi tra i mostri dello spettacolo hollywoodiano; la notte dei morti viventi invocava la presenza tra le entità del male anche di tutti i Bad Toys.

Ernesto L. Francalanci 
Cramps. Paradoxa Emblemata  
At once attractive and repulsive, a combination of turbidity, brilliance, obscenity, violence and Catholicism animates these bad toys, Paradoxa Emblemata of the current repugnant Middle Ages. They are rather not patients that need taking care, as the author suggests, but incurable contaminating presences that fake humanoid identities: their physiognomic displays the gothic, realist and didactic pathology of illustration, even when it changes in relevance.
Turbid is what tricks the eye and clouds profound thinking, what the analysis purposelessly detects and highlights, what escapes light and clarity, what does not settle and stays in suspension; Paradoxa Emblemata are not transparent, but display obscure turbidity, clamorous disarray and commotion that stop one from the bright desire of a dream.
Brilliance is the opposite of uncertainty and faded overtones; it shines because of its artificial and ceramic surface and fakes enlightened splendour by means of lighting subterfuges; Paradoxa Emblemata do not feature any playful sparkles but the polished shine of the glossy civilization.
Obscene is what projects the inner secret, what does not blame immodesty but praises obsession, deformity, shapelessness and corruption, and opens to the ominous herald of kitsch: what may not be spoken of; there is no trace of purity of sound, word or gaze in Paradoxa Emblemata, but rather entities that sadistically devour the unwatchable.
Violence is what violates peace and produces an unbearable unheimlich, what imposes the autobiographical and calls the world of perversion - under the protection of aesthetics - bizarre, before the boundaries of the realm of true horror; there is no compassion in Paradoxa Emblemata, but rather cruelty and the surety of the trivial and evil.
Catholicism: something that turned religion into a heathen matter; what gave an apotropaic meaning to the unthinkable and produced a thick forest of superstition inhabited by good and evil characters: Liber monstruorum de diversis generis. German speaking countries believe that every 5 December, at dusk, Krampus hordes rise from the Catholic hell. Krampuses are demons that form the evil court, the nemesis and completion to the Archbishop of Myra’s white magic, which helped resuscitate the five children who had been murdered by an innkeeper. Krampf, crabs, convulsion, cramp; all relate of devilish obsessions and spasmodic struggles. They are hunched creatures that snatch anyone they lay their filthy hands on to drag them into the abyss. In the last procession of a Northern country not too far, hundreds of Krampuses paraded in a confused fashion among Hollywood showbiz monsters; the night of the living dead summoned the presence of all Bad Toys among the evil creatures.






giovedì 18 luglio 2013

Giaconismi...


C'è quel che c'è e di quel che c'è non manca nulla

La mia mostra sui trent'anni di lavoro sta ancora svolgendosi alla Galleria Antonio Colombo di Milano. 
Per l'inaugurazione ho ideato la seguente performance: mentre disegnavo dal vivo chiunque poteva disegnarmi sulla schiena. Mi sono vestito da vecchio marinaio, e l'effetto finale è stato quello di una schiena tatuata in decine di porti diversi, anche in qualche galera. Non mi dispiaceva affatto come risultato, ed è stato un peccato doversi lavare dopo. Qualche originalone consigliava di riprendere i disegni realizzati sulla schiena e di tatuarmeli sul serio, ma non l'ho fatto, vorrei tenermela sgombra magari per qualche altra idea, e poi non mi dispiaceva di poter cancellare la lavagna di pelle, come non mi dispiacerebbe dopo questa mostra cancellare ogni effetto nostalgico e riprendere tutte le idee abbandonate , tutti gli spunti creativi, tutti i progetti impolverati e riuscire a portarli a termine. In effetti con la distanza temporale molti non sembrano per niente importanti. Ma per fortuna esiste il testo che Gianluca Marziani ha scritto per la prefazione del catalogo della mostra, dove con molta generosità conia il termine Giaconismo, che poi potrebbe trasformarsi se volete anche in giaco-iconico, oppure in dispregiativo (una giaconata).


 il giorno dopo, prima della doccia
 foto di Roberto Gennari Feslikenian

GIACONISMI
Gianluca Marziani

Allora, caro Massimo, siamo al momento del resoconto parziale, della testa bicefala che guarda indietro mentre cammina in avanti. Decenni di lavoro che si raccolgono attorno ad un progetto riassuntivo, un dono visivo di sintesi e raccordi, scoperte e recuperi, pensamenti e ripensamenti. Non è mai semplice raccontare le molteplici combinazioni di un factotum irriverente e intuitivo, le visioni multiple di un artista che crea nuovi confini per non averne mai di predefiniti. Tutto diviene slittamento, apertura di senso, varco dopo varco, ciclo dopo ciclo, tra conclusioni parziali e introduzioni totali, rischi e consapevolezza, invenzioni e mutamenti. Non è semplice ma giusto che le tue combinazioni artistiche abbiano un criterio finalmente riepilogativo, una ragione olistica che sia propedeutica ai tuoi viaggi istituzionali, dove le migliori storie diventano esempio singolo e guida plurima. Poche settimane fa la Triennale ha enfatizzato le tue ceramiche, offrendo una selezione del tuo dono visionario. Da qui immagino il domani dentro altri musei, dove i tuoi resoconti meritano ospitalità principesca, dove le tue trasgressioni linguistiche meritano il rispetto della Storia. Non preoccuparti, le cose stanno cambiando nel nostro Paese, e non soltanto in peggio come troppi si ostinano a ribadire. Non vedo ulteriori venti di crisi nella Cultura, già da tempo le nostre istituzioni creano mare mosso e uragani come status quotidiano. Sono anni che agiamo in stato d’emergenza, abituati all’apnea del rischio, del poco tempo, del poco denaro ma non del poco pubblico e del poco consenso. Questi, però, sono giorni di cambio direzionale, ore in cui la crisi diviene condizione stabile e dove nuovi parametri stanno ricodificando idee, strutture e organizzazioni. Non è un augurio ma una dichiarazione convinta: ormai ti toccherà il museo come residenza ad ampio spettro, dimora sospesa per i tuoi universi artistici. Hai rotto regole, inventato stilemi, elaborato meccanismi autonomi: e adesso meriti il codice istituzionale come giusto abito da indossare, il tuo dress-code rigoroso da alternare al latex del tuo habitus cerebrale. Con un particolare in più: dovrai continuare a spremerti le meningi, regalarci altre visioni di pari potenza espressiva, dare peso specifico al tuo etabetismo infaticabile, provocatorio, affilato, ironico, assurdamente sensato. Insomma, vada per lo smoking (rosso) ma senza pensare che sia per tutta la giornata: perché quando il museo chiude le porte ti voglio nei paesaggi rosso lucido del rischio, nelle geografie psichiche del mondo rovesciato, dove le nostre membra, cervello compreso, non si stancano mai (anche se ormai non sei più un ragazzino).






foto di Pier Maulini
Pochi artisti meritano un ISMO personalizzato, un ruolo archetipico che gestisca il passato in posizione dominante. Non siamo un Paese normale, questo va detto, altrimenti sentiremmo in giro un aggettivo che origina dal tuo cognome. Anche perché la memoria non mente: hai fatto tante cose prima di molti altri, anticipando il crossover che ormai consideriamo norma, gestendo i tuoi talenti con parsimonia raziocinante. Rappresenti un modello d’azione creativa che ha plasmato la lezione storica degli anni Sessanta, travasandola nel postmoderno con doti estetiche e intuizioni concettuali. La cosa è seria, benché i nostri linguaggi (la tua arte, la mia scrittura) distillino flussi d’ironia e stravaganza; la cosa è molto seria quando mi chiedo perché non si diffonda un GIACONISMO come statuto ufficiale della COMBINAZIONE LINGUISTICA, un riferimento che dovrebbe raccordare chiunque sia arrivato dopo di te. Sei un indubbio riferimento, su questo nessuno può toglierti il merito che ti compete; vorrei che nei prossimi anni si ampliasse la consapevolezza borghese, quella forma di rispetto ulteriore che nasce dall’alto per dare aura a chi arriva dal basso, dai territori underground in cui ti sei formato, dall’antagonismo e dai situazionismi che ti hanno educato. Insomma, conosciuto da molti, amato da alcuni, stimato da moltissimi (e detestato quanto serve, altrimenti qualcosa non funziona).



Stavo rileggendo alcuni miei scritti che ti riguardano. Ripropongo un estratto per l’aderenza sintetica al giaconismo: Massimo Giacon accorcia la distanza tra lo spettatore e il mondo deformato, anormale, eccessivo. Manipola i corpi crudi e crudeli, libera il flusso trasgressivo, deborda oltre i bordi dei generi degenerati. Atti visionari, talento esecutivo e ironia: miscela espressiva di un artista dal multilinguismo genetico, a suo agio nel disagio del comportamento senza falsi pudori e stupidi rumori. I suoi eroi sono eretici, dissacranti, ingenuamente anarchici. Perdenti per natura o vincenti per artificio. Perdenti per forza di cose o con la forza delle cose in azione. La vittoria sta nei loro sguardi, nel loro feticismo, nei loro desideri. Ma anche nel senso del gioco, nel senso mai unico, nel gioco sensato. Disegni, pitture, opere digitali, progetti installativi, oggetti di design, videogames, fumetti, grafica: questo ed altro per plasmare i suoi personaggi “al limite” e creare il mondo oltre quel fatidico limite. Una modellazione fisica del nostro spazio interiore, dei desideri nascosti, degli eccessi che ci portiamo appresso. Massimamente Massimo: il fuoco cammina con lui.



Partiamo da qui per ripartire in ogni dove possibile e immaginabile. Giacon è un poliedro colorato e dinamico, un volume fluttuante nello spazio dell’opera totale. Esiste un ordine cronologico di carriera ma i fatti ribaltano di continuo ogni progressione lineare. Giacon incarna una sinusoide randomica, è l’artista propulsivo e famelico che rimbalza tra sfide progettuali. Non farò il biografo né lo storico filologico, mi sembrerebbe un’autostrada noiosa davanti ad un artista che corre su tornanti e strade pericolose. Andrò avanti per lampi, incroci e combustioni, sulla falsariga di una verariga alla Giacon, a modo mio che significa anche “a mondo suo”, specchio contro specchio per un arcobaleno a molte teste e moltissimi colori intermedi. 




Chiariamo subito un equivoco storico: Massimo Giacon non c’entra nulla con le etichette che girano sui media. Le sue anime sono molteplici e conviventi, si alimentano con regolarità ciclica affinché nessuna fagociti le altre. Questo significa che non possiamo parlare di Pop Surrealismo, Neo Pop, Postdesign... Classi e categorie aiutano critici e curatori, semplificano l’ordine classificatorio, creano aree comuni da gestire come fenomeno; di fatto, limitano il potenziale dell’artista poliedrico, vincolandolo al regolamento d’uso che etichetta ma non chiarisce. Massimo, mi rivolgo di nuovo a te per dirti che i marchi collettivi non ti si addicono, tu sei un archetipo e dovresti trasformarti in un marchio DOP delle arti visive, un propulsore singolo di entità ad alto tasso iconografico. Ti capisco quando dici che in Italia non è semplice affermare l’eclettismo come codice ufficiale, restiamo un serbatoio di qualità artistiche eppure crea panico l’artista inclassificabile, allergico a qualsiasi categoria poiché il suo nome è già una categoria senza copie. Per me vale l’ostinazione del talento, la coerenza come continuità, solo così accetti la prolungata sfida col pubblico e rischi un’affermazione di categoria. Quindi una sola regola: avanti con le proprie convinzioni (come hai sempre fatto, per questo hai vinto la sfida del tempo), anche perché la gente che di solito mi piace adora la tua arte e ciò che di solito ti piace. E questo significa una sola cosa: che la minoranza di questo Paese è ancora meglio della maggioranza. E poi diciamolo: perché certe immagini dovrebbero piacere a tutti? L’arte può essere borghese, varcando soglie di merito, ma non può trasformarsi in un soggetto democratico e populista. Non vedo niente di meno democratico della creazione, ultimo atto divinatorio per affermare l’io creatore con le sue chimere legittimabili. Evviva l’ottusa parzialità della grande arte…




L’ORIGINE DEL (PROPRIO) MONDO… il disegno come nascita necessaria, partenogenesi d’obbligo che plasma la ricostituzione del reale. L’origine dei propri mondi avviene sul foglio bianco, sopra taccuini e sketchbook, lungo foliazioni che diventano filiazioni intime per definire il codice primario del Genoma artistico. Giacon disegna con tratto talentoso, gestisce il segno con frequenze orientali e radicalismi personali, la sua minuzia si fa corpo e gesto, i suoi personaggi moltiplicano il regime identitario e coprono una moltitudine di gender interiori. Plasmare un proprio mondo richiede doti visionarie e una traduzione segnica che sublimi la figurazione: e Massimo lo fa. Se tradurre significa disegnare con adeguata pregnanza, allora tutto è possibile, quantomeno plausibile, quindi realizzabile: e Massimo lo fa. Mi raccomando Massimo, non perdere il battito primordiale delle punte che disegnano mondi. I tuoi mondi. I nostri mondi. Nuovi mondi che si svelano.
FUMETTO… Giacon ingaggia lotte ciclopiche con gli universi visivi, esprimendo un antagonismo atavico che non possiamo riassumere in un solo tema. Lo stesso Giacon disse anni fa: “I miei superfumetti superano la propria genetica, diventano qualcos’altro, che peraltro neanch’io so bene cosa sia”. Di recente campeggia sulla carta di XL, dal passato spuntano testate di giusta mitologia urbana, nel mezzo arrivano carte e tele in cui il fumetto si trasforma senza perdere identità d’origine, assumendo la coscienza iconografica del quadro pittorico, la valenza universale dell’icona senza passaporto o narrazione. 


foto Gregorio Spini

DESIGN… parto dal presepe (“Portable Xmas”) per ALESSI, oggetto di pura sintesi che non dissacra il sacro ma sacralizza il tratto liberato. Un oggetto laico dentro le abitudini religiose della festa: e quando dico “laico” intendo l’attitudine che ha determinato quel disegno, il passo sospeso del primo sguardo, dell’istinto che si traduce in segno su carta. Da qui la magia della produzione industriale con un’azienda che somiglia al DNA di Massimo. Gli SWATCH in edizione speciale erano un altro tocco di giaconismo virtuoso, tatuaggi cronometrici che esaltavano il plasticismo plastico. Due aziende in cui Giacon si adatta come liquido dentro uno stampo. Due punti topici in un curriculum che vanta innumerevoli collaborazioni nel settore industriale. Esercizi di continuo slittamento linguistico e metamorfismo plastico. Esercizi di combinazione artistica.




CERAMICHE… mi lego alla mostra in Triennale, sintesi espositiva di una bella collaborazione con SUPEREGO e le loro tirature per progetti “altri”. Adoro l’antagonismo che si esprime mimeticamente con linguaggi nobili, competenza tecnica e intuito stilistico. Ordinare l’eccesso dentro il controllo, far germinare messaggi consapevoli attraverso il metodo e la tradizione. Le ceramiche di Superego amplificano la memoria storica con forme surreali e psicoemotive. Una perfetta traduzione del disegno in chiave scultorea, secondo logiche minuziose che ritrovo nell’intera produzione artistica di Giacon.




CULTURA DIGITALE… quando vidi i primi quadri digitali di Massimo capii una cosa: che il linguaggio elettronico può moltiplicare le qualità ataviche del disegno a mano libera, definendo il codice tecnologico della manualità. Mi ha sempre colpito quel legame speculare tra matita e penna Bamboo, come se il digitale fosse la seconda vita della grafite o dell’inchiostro, una vita simile ma anche complementare, uno stadio ulteriore nell’evoluzionismo della figurazione. Rivedo i suoi digitalismi e li trovo asciutti, privi di enfasi tecnologica, calibrati da una sapienza che è prima ideativa e poi formale. 




THE POP WILL EAT HIMSELF… a proposito di legame tra disegno e digitale, ripensavo alla tua mostra da Mondo Bizzarro (Roma) con la cura del sottoscritto. In realtà fu una doppia personale visto che in contemporanea avevo curato una tua seconda personale da Lipanjepuntin (Roma). Leggi cosa scrivevo ai tempi: I protagonisti sono i pupazzi da cartoon che popolano il nostro immaginario. Senza tirare in causa i più famosi, da Topolino ai Simpson, a cui l’artista riconosce un’influenza capitale nella cultura contemporanea, ci si sofferma su soggetti di secondo piano con una rivisitazione che rivela il tema della perdita dell’innocenza. Malandati, deformati, acciaccati, vecchi pupazzi che riflettono, come fossero uno specchio, il livello di degrado morale e culturale da cui sono stati contagiati nella società odierna. La mostra è costituita da opere digitali su carta fotografica: partendo da programmi di modellazione 3D, Giacon conferisce una forma e una luce quasi caravaggesca alla sua galleria di pietosi cartoons. Le opere digitali sono accompagnate dagli schizzi preparatori a matita e da una grande tela su PVC in cui tutti i personaggi si ritrovano fusi in una massa di pelouche e tessuto necrotico.
Nel corso della mostra le sigle dei cartoni animati più conosciuti, deformate e trasformate in una sorta di lenta marcia funebre, faranno da colonna sonora.
PERSONAL JESUS… ho una predilezione per questo tuo disegno pittorico. Considero sublime lo sfaldamento progressivo del corpo di Cristo, realizzato con una calibrata china scura su pergamena. Un’immagine maestosa e sacrale, molto più “religiosa” di tante buffonate che spacciano per arte spirituale. No, non preoccuparti, evito di chiederti che rapporto hai con la religione. Ne abbiamo già parlato e non mi sembra il contesto per una disamina etica sulla trascendenza e altri temi di pari portata morale. Lasciamo che parlino le tue opere, trasgressive senza derive, dissacranti con sapienza, cattive senza nichilismo. Vedo maturità nel tuo approccio, niente di provocatorio o facile, al contrario mi fai sentire densità analitica e talento visionario. Hai captato un modo eccellente per narrare l’iconografia di Cristo in un’epoca come la nostra.

PHILOSOPHERS IN THE POP PLANET… qui le grandi personalità filosofiche si ritrovano in un mondo di fantascienze, frangenti splatter, riferimenti da b-movie americano e continue invenzioni stilistiche. I filosofi in chiave iperpop, ancora oggi trovo quel ciclo una piccola bomba concettuale, un lavoro affilato e colto, unico per genere e modo, riprova di un metodo linguistico che si mimetizza tra temi alti e bassi, estremi e popolari. 
SUONI… la parte musicale dovrete ascoltarla, solo le vostre orecchie daranno senso ai progetti sonori di Massimo. Diciamo solo che la musica non rappresenta un semplice passatempo ma un prolungamento delle sue piattaforme visive, un territorio in cui la vertigine sonora completa le chiavi visive dei suoi sguardi. 
Linguaggi molteplici che scambiano informazioni tra di loro, combinando elementi in una fluida sinestesia. La visione di Giacon è orchestrale, un polistrumentismo che calibra lo stridore e le dissonanze, inventando un suono estetico che è pienamente Giacon, inimitabile e archetipico come capita solo agli apripista coraggiosi. Quelle visioni sono popolate da svariati figuri, notturni ed eccessivi, ambigui, antropomorfi e mutanti, una nuova specie nell’umanità dei corpi esplosivi. Li trovo adorabili e difendibili, alieni tra noi “umani”, esseri psicosensoriali che danno un countdown al nostro sguardo inquieto.  
SEXORCISMI… lascio in chiusura la parte più delicata, quella che riguarda il SESSO e la sessualità trasgressiva, intimamente consapevole ma anche estrema, adatta a pochi adepti, roba che scotta se non hai dimestichezza con il potenziale della testa dominante. Voglio parlarne in chiusura affinché sia la vera riapertura del testo verso il mondo reale, verso quell’aderenza empatica tra arte e vita, scrittura ed esperienza, estetica e azioni. Lo dico senza equivoci, nel senso che tali aspetti mi toccano nel profondo, rappresentano pezzi solidi della mia vita, diciamo che aderisco alle identità ironiche di Massimo. La cosa che più amo è l’attitudine dei suoi protagonisti BDSM, quel modo che non svilisce le pratiche ma toglie l’alone mortifero, dando una precisa estetica ai mondi descritti, vestendo corpi e azioni con riconoscibili giaconismi. La dimensione sessuale entra dovunque, circola nelle opere come elemento relazionale e distintivo, informa le azioni con parametri calibrati.


foto Rosario Gallardo
I personaggi del suo universo trasudano evocazioni sessuali, gareggiano coi propri fantasmi per sfogare gli istinti consapevoli. Sarà per questo che sono così brillanti, impareggiabili, anomali e indomiti? 
Diciamo che mi fermo qui, caro Massimo, altrimenti mi tuffo nell’argomento e devio su strade che mi porterebbero lontano dal centro. 
Noi ci rivediamo presto, il futuro dei musei aspetta anche te. 

Per me, sempre e solo GIACONISMO

Gianluca Marziani, maggio 2013


foto di Josè Sala