Quello con l’espressione da beota e il cappello da golfista sono io.
L’altro è Dave Stewart degli Eurhythmics. Che ci facciamo insieme?
1994.
Siamo all’inaugurazione della mia prima mostra a New York, nella galleria di casa Jay Chat, uno dei più grossi collezionisti d’arte contemporanea del mondo, amico fraterno di Frank Gehry, e titolare dell’agenzia pubblicitaria Chat & Day, agenzia che faceva impallidire quella dei Mad Man.
La fotografia è di Johnny Pigozzi, mio collezionista e proprietario della fondazione omonima di arte africana contemporanea. Ero a New York con la mia gallerista milanese dell’epoca, Erica Calvi, e ospite della sua cara amica Donatella Brun, moglie di Jay Chat.
All’inaugurazione venne Maurizio Cattelan, mia vecchia conoscenza, compagno d’asilo e di alcune avventure degli anni ’80, erano i giorni in cui anche lui stava preparando la sua prima mostra a New York. Tra gli invitati c’erano collezionisti, curatori, il gallerista della White Cube Gallery di Londra, il direttore del MOMA.
Un anno prima, nello stesso spazio, aveva esposto un giovane e sconosciuto artista inglese, un tal Damien Hirst.
Le opere vennero vendute quasi tutte in pochi giorni. Uno degli acquirenti fu proprio Dave Stewart.
Praticamente ero al centro del mondo.
Guardo la foto e penso: cosa non ha funzionato, dopo?
E un bel memento, serve a ricordarmi che il successo globale è proprio alla portata di tutti,
e quanto sia effimero.