Il Club Fantascienza Padova stava situato sopra a un bar latteria del centro, ed era ricavato dai locali-magazzino e soffitta dello stesso bar, che divideva con una libreria adiacente. Il padrone del bar (Toni) e il padrone della libreria condividevano la stessa passione: la fantascienza. Era difficile capire perché, visto che Toni, un panzone con gli occhiali spessi due centimetri e l’abitudine di farci fare da cavie per frappé di sua invenzione (“puah!, ma che cos’è questa roba?” - “latte e Campari!” ), tutto sembrava tranne che un’intellettuale. Era la persona più malvagia che conoscessi. Una volta si era seduto sul muretto antistante al bar, la sera, mentre una tossica di lungo corso si stava facendo una pera : “cazzo guardi?” - “Niente, aspetto che muori”.
Da una parte si aveva il sospetto che Toni usasse il Club di Fantascienza come spazio per oscure cerimonie notturne, di cui insisteva a volerci far vedere le foto, dall’altra era davvero un sincero esperto appassionato: sapeva tutto della fantascienza della Golden Age.
La biblioteca del Club era fornitissima, e costituiva da polo d’attrazione per un sacco di nerds disperati, anche se all’epoca non si chiamavano così, erano solo degli stramboidi.
C’era Fabio Bubu, uno dei primi punk di Padova, occhi di ghiaccio, impermeabile nero stracciato, una fascia al braccio con su scritto “Hiroshima” e un cerotto sul naso che non tolse per 3 anni, fino a che non fu costretto a farlo perché rischiava di perderlo, il naso.
C’era Nello, grande appassionato di Philip K Dick e di William S. Burroughs, che era attratto morbosamente dai racconti dei malati di mente che stazionavano davanti all’ex manicomio di Brusegana, nella periferia patavina, e che annotava su un taccuino. Col tempo saremo diventati amici e avremmo lavorato molto insieme, lui con lo pseudonimo di Mimì Colucci.
C’era Loris, un ragazzone palestrato che sembrava Conan da giovane, appassionato (ma va?), di fantasy e psichedelia, nel futuro sarebbe andato a Berlino, avrebbe occupato uno squat, avrebbe sposato una giornalista televisiva, ma non tutto in quest'ordine e in tempi diversi.
C’era Mauro Gaffo, leggermente più vecchio di me, che mi coinvolse per un anno come disegnatore della sua micro-fanzine di fantascienza ciclostilata “Quark” (molto prima della trasmissione omonima). Più avanti sarebbe diventato il direttore della rivista di scienza-e-curiosità-da-leggere-in-spiaggia Focus, e questo vuol dire che aveva idee molto più precise delle nostre su come far soldi fin da piccolo. Dio, quanto odiavo disegnare con un orrido stilo di metallo sulle matrici da ciclostile cercando di non strapparle!
Il Club era uno dei pochi circoli di SF che ogni anno premiava con la favolosa cifra di Un Milione il miglior racconto di fantascienza amatoriale d’Italia, per cui arrivavano montagne di racconti di aspiranti scrittori, e anche di professionisti a cui facevano gola quei soldi. Il più prolifico si chiamava Daniele Brolli. Si ostinava a mandare racconti, e anche illustrazioni. Era particolarmente odiato da Toni, che quando vedeva la busta con il suo indirizzo come mittente non mancava di fare la solita sua battutona “riconoscerei che è roba sua già dalla spussa di quel che c’è dentro”. A me invece non dispiacevano né i racconti né le illustrazioni, ci vedevo qualcosa di compatibile con la direzione che volevo dare ai miei fumetti, anche se non sapevo quale. Arrivarono, non mi ricordo nemmeno attraverso quali canali, anche delle buste con delle fotocopie di un giovane dotatissimo Andrea Pazienza.
Uno dei miei scrittori preferiti era Giorgio Placereani, di Trieste. La qualità dei suoi racconti era sempre ottima, e avevano dentro sempre almeno un’idea originale: una società in cui il rumore era un crimine, un medico professionista pagato dal governo per trasformare i cadaveri dei dissidenti uccisi dalla polizia in alieni per giustificare un regime autoritario… cose così.
Nel Settembre del 1979 andai a Milano con Loris. Lì in una specie di cascina si svolgeva un festival di fantascienza “comunista”(come lo definiva Toni), organizzata dal collettivo “Ambigua Utopia", a cui faceva capo Antonio Caronia, professore universitario dalla capigliatura alla Napo Orso Capo. Si parlava della fantascienza sociale come interprete ideale della contemporaneità, e tra un film di fantascienza russo e una sfilata per il centro città con costumi da alieni in cartapesta incontrai anche Daniele Brolli. Era di poche parole, ma mi sembrò un tizio molto determinato.
Lo rividi a Lucca Comics un paio di anni dopo, insieme a Igor Tuveri. Io avevo già pubblicato sul Il Mago Mondadori, che nel frattempo aveva chiuso i battenti, e mi apprestavo a prendermi un anno di pausa perché avevo scelto di svicolare il militare facendo servizio sociale. All’epoca trovai Daniele e Igor particolarmente urticanti. Avevano una battuta sarcastica su tutto e tutti, mi sembravano arroganti e presuntuosi.
D’altra parte non penso esistano rivoluzionari gentili e amichevoli. Avrei imparato ad apprezzarli col tempo. Mi davano l’idea di pensare che non ero all’altezza. All’altezza di che? Non importava, non lo ero e basta. Paranoie mie in cui era così dolce crogiolarsi.
Ultima Notte è una storia inedita, ed è il risultato di quegli anni passati al Club SF di Padova.
Visto e considerato che non pensavo di essere uno scrittore molto dotato avevo contattato Giorgio Placereani, e gli avevo chiesto se potevo ridurre a fumetti i suoi racconti. Questo era il terzo, dopo L'Uomo dei Mostri e Rumore e Silenzio. Un racconto dietro l’altro il mio modo di disegnare cambiava. Non avevo contatti con gli altri autori, ma nelle nostre camerette ascoltavamo le stesse musiche, nei cinema pidocchiosi scoprivamo gli stessi film e registi... Quando vidi quello che stavano pubblicando gli altri restai abbastanza di sasso: eravamo arrivati alle stesse conclusioni. Qui il mio disegno risente di un eccessivo e ingenuo abuso di linee seghettate, linee tratteggiate, frecce e paccottiglia dell’epoca... Ma era capitato così. Per me era un modo per sottolineare e affermare con una linea retta: “Hey, lo sto facendo proprio ora, e sono modernissimoooo”.
Che stupido.
Di questa storia feci una versione pop up, con delle parti ritagliate che si alzavano, poi provai a trasformarla in un gioco, con le pagine collegate tra loro a leporello, e delle regole assurde che corrispondevano ai colori e a quello che succedeva nelle vignette. Era impossibile da realizzare per un editore, ma già corrispondeva all'idea di un fumetto esplosivo, in grado di uscire dagli schemi, dalla vignetta e dalle riviste.