Fumettista, grafico, artista, musicista, designer, performer...uno degli aggettivi più utilizzati per definire il tuo lavoro è poliedrico...ma tu come ti definiresti?
C'era una vecchia definizione che usava il gruppo Valvoline negli anni '80, ed era "ingegnere dei media", credo l'avesse coniata Igort. Certo a sentirla adesso fa un po' ridere, suona abbastanza presuntuosa, ma era un periodo in cui si sentiva il bisogno di esserlo, e pure di essere antipatici. Forse il termine più semplice è diretto potrebbe essere "artista", l'artista in fondo è sempre poliedrico, (una buona parte degli artisti lo sono), senza tirare in ballo per forza Leonardo da Vinci.
Inizi nel 1980 disegnando fumetti per la rivista Il Mago, e poi Frigidaire, Linus, Alter Alter...raccontaci il tuo percorso...
Ho iniziato facendo fumetti per le riviste sovracitate, contemporaneamente però ero interessato ad altro: per esempio con Piermario Ciani e Vittore Baroni fondammo Trax, sigla artistica con cui in maniera abbastanza incosciente gettavamo le basi per un arte che pensavamo meno elitaria, fuori dai musei e dalle gallerie, sfruttando quella rete prima della rete che era il circuito postale, e di fatto concependo un tipo di arte diffusa, globale, economica e democratica, svuotata da star e personalismi, una specie di intelligenza senza una vera testa pensante, un organismo pluricellulare che inglobava il fumetto underground, la musica indie, l'Arte Postale, il punk, le fanzine autoprodotte, l'happening. Contemporaneamente facevo fumetti, c'erano riviste che pubblicavano quello che facevo e avevo tutta una generazione di autori con cui scontrarmi e confrontarmi.
I tuoi rapporti con il gruppo bolognese Valvoline?
Hai conosciuto Andrea Pazienza?
Come dicevo prima, con tutto il gruppo di Valvoline (a parte Mattotti, che era un po' più vecchio), eravamo coetanei, per cui molte letture e influenze culturali erano in comune, e anche se loro facevano parte di un gruppo molto definito ci siamo sempre confrontati, ricordo lunghissime discussioni sul futuro del fumetto con Igort, ma anche momenti molto piacevoli in cui abbiamo partecipato ad eventi culturali e musicali insieme, d'altra parte pubblicavamo sulle stesse riviste ed era inevitabile incontrarsi e anche sfidarsi, in una sorta di rivalità legata all'esplorazione di un media, il fumetto, che al momento ci sembrava colmo di sentieri e snodi ancora tutti da scoprire, come se fosse una specie di ricerca delle foci del Nilo nei primi del '900. Pazienza apparteneva a un momento immediatamente precedente, aveva aperto la strada, e in qualche modo aveva mostrato "che si poteva fare". Non avrei pensato di fare fumetti in un certo modo senza il suo "Penthotal", ma come tutti i giovinastri ingrati dopo un paio di anni di professione lo snobbavamo un po', non gli perdonavamo di buttare via il suo talento in cazzate, noi pensavamo di essere più progettuali, poi alla fine la storia ha dato a Cesare quel che è di Cesare e ad Andrea quel che era di Andrea, e messo un macigno sopra la mia presunzione .
I famigerati anni ottanta! La “Milano da bere”, l'”edonismo reganiano”, il boom del Made in Italy, della Transavanguardia...Anni vivacissimi, le cui influenze in arte e sulla moda sono ancora oggi molto forti, ma per certi versi quasi rimossi e guardati con sospetto...
Come li hai vissuti? Che ricordi hai?
Posso vantarmi di non essere mai stato un fan dei Duran Duran o delle spalle imbottite di Armani, se per questo. La Milano degli anni '80 per me era un territorio da scoprire, venivo dalla provincia, ma noi provinciali sappiamo essere più snob dei cittadini. Gli anni '80, hai detto bene, sono ricordati per tutte le cose che hai detto, per dei tagli di capelli improbabili e per i colori flou, ma contemporaneamente Memphis gettava le basi per un approccio completamente diverso al mondo del design e dell'oggetto, Devo, Pere Ubu, Pop Group, la No Wave, i Residents, i Throbbing Gristle, i Gang of Four modificavano in maniera radicale e politica la concezione della struttura della canzone e del suono, i graffiti di Haring e Basquiat sono ancora oggi di bruciante attualità, e i fumetti di Frigidaire e Valvoline vengono ricordati oggi come tappe seminali per tutto quel che è successo dopo in Europa e in America, e con una certa presunzione posso dire che, come i futuristi dei primi del '900, il fumetto di quegli anni è stato uno degli ultimi fenomeni artistici italiani in grado di tenere il passo con l'arte internazionale, mentre la Transavanguardia a mio avviso è stato un… equivoco. E qui mi beccherò una tonnellata di critiche , ma è quello che penso, un movimento debole, fatto di pittori mediocri.
io e Mimì Colucci prima di un concerto-performance, 1984
Moebius e la scuola di Metal Hurlant, Robert Crumb...proviamo a ricostruire modelli e fonti nei tuoi fumetti...guardando anche ai disegnatori italiani...
Sicuramente c'è tutto il Will Eisner di Spirit, ma andando indietro c'è il Little Nemo di Winsor mcCay, e non posso dimenticare la scuola Marvel di Romita e di quel gigante che è stato Jack Kirby, (senza di lui la pop art non sarebbe stata la stessa cosa). Poi per gli italiani ho un sacco di padri illustri, da Sergio Tofano a Jacovitti, ma anche autori meno conosciuti come Luciano Bottaro, Lino Landolfi e il grande De Luca de Il Commissario Spada sono stati per me una grande fonte formativa, ma d'altra parte sono sempre stato un grande macinatore di immagini, sin da piccolo.
Quando ero piccolo vivevo in una casa molto fredda, e io e mia sorella stavamo spesso a casa con malattie alle vie respiratorie. Nei lunghi giorni di convalescenza i libri illustrati mi salvavano la vita, e anche se non leggevo guardavo le figure. Avevamo l'enciclopedia dell'arte "le Muse", e così, in maniera inconsapevole, ho assimilato tutta l'arte classica e moderna in maniera acritica, trasversale, e rigorosamente in ordine alfabetico.
Walt Disney
Nel 1985 inizi a collaborare con lo Studio Sottsass Associati. Come è stato lavorare con Ettore Sottsass?
Nella mia vita posso dire di aver conosciuto qualche grand'uomo, e uno di questi era proprio Ettore. Lui mi chiamò la prima volta per collaborare a un progetto di un ristorante in California. Voleva che trasformassi il progetto in una storia a fumetti, facendo capire come la gente lo avrebbe vissuto, per cui immaginai (su testo di mia sorella), una storia con due persone che si innamoravano e si lasciavano nell'arco di una giornata attraversando i locali di questo edificio. Il committente trovò questa presentazione orribile e del ristorante non se ne fece nulla , ma Ettore disse "questo qui non capisce un cazzo", e da lì nacque la nostra amicizia, che proseguì fino alla sua morte, con varie collaborazioni. Ettore mi ha sempre trattato con grande rispetto, e nonostante la differenza di età non c'è mai stato tra noi un rapporto "allievo-maestro", anzi era lui a chiamarmi "maestro" quando ci trovavamo, ma penso fosse più per il gusto di vedermi arrossire. Era una persona molto disponibile, ed estremamente divertente. Lui si prestava anche ai miei progetti più strani, una volta l'ho fatto cantare in uno dei miei dischi, e quando lo faceva ascoltare ai suoi amici diceva "Massimo mi ha fatto dire delle cose assurde!".
Snaporazz restaurant, visualizzazione progetto ristorante in California, Sottsass associati, 1984
E poi altre due progettisti, Matteo Thun e Alessandro Mendini, sono state figure importanti per te...
Con Matteo ho lavorato a un progetto molto interessante, un parco a tema in Germania, fatto dalla Philips, il progetto ruotava intorno a una specie di antenata delle moderne consolle per videogiochi, un prodotto che doveva fare il botto ma che non decollò mai, per cui anche il parco giochi venne presto smantellato, e fu un vero peccato dal momento che avevamo messo sul piatto un sacco di idee progettuali folli. Al tempo c'erano anche molti soldi buttare, peccato non averli potuti sfruttare al meglio… Alessandro Mendini è stato il mio biglietto di ingresso nel mondo Swatch, lo conoscevo per via di Ettore, anche se negli anni '80 c'era una certa rivalità tra i due, (a onor del vero più da parte di Ettore che di Alessandro). Alessandro è sempre stato una persona estremamente curiosa e disinteressata, e nel corso di 30 anni i nostri percorsi si sono incrociati più volte, due anni fa mi chiese anche di fare un fumetto su di lui e Cattelan per Domus, e ora mi ha proposto di progettare una piccola scultura ritraente Alberto Alessi, per una sua installazione per Triennale Design Museum.
La forbice fra arte e design si sta in molti casi stringendo sempre più generando un fenomeno ibrido come quello dell'art-design. Cosa ne pensi? Tu stesso realizzi pezzi unici o in serie limitata...
Trovo sia abbastanza inevitabile, credo che in parte sia dovuto alla crisi, e in tempi di crisi è difficile vendere arte concettuale, il mercato vuole qualcosa di più concreto, e per non sentirsi retroguardia (appoggiando il ritorno alla pittura) preferisce indirizzarsi nel design-pezzo unico (o a tiratura limitata), questo forse dà al collezionista la sensazione di essere più contemporaneo. Il design è un mondo di professionalità molto variegato, dove confluisce l'antica manualità artigiana, ma anche le nuove tecniche di produzione e materiali dalle tecnologie in costante evoluzione. A differenza dell'arte, in cui un taglio al laser o una stampa digitale su tela passano rapidamente di moda, nel mondo del art-design anche una tecnica antichissima come la ceramica può ancora riservare delle sorprese.
Mi sembra di riscontrare una forte coerenza quando ti misuri con i diversi ambiti del progetto...Come avviene però il passaggio, o la trasposizione, dalla bidimensionalità (fumetto, grafica) alla tridimensionalità (design, scultura)?
All'inizio fu abbastanza scioccante, perché finché si trattava di disegnare dei decori che andavano applicati sugli oggetti il lavoro era abbastanza semplice, dovevo solo immaginare un bidimensionale su una forma tridimensionale, ma progettare un oggetto fisico era un altro paio di maniche. Poi ho pensato che la dura scuola del disegnatore di fumetti ti porta a dover fare i conti costantemente con un piccolo mondo in cui dare coerenza a tutti i pezzi, e che questi pezzi non sono solo i personaggi e le sequenze narrative, ma anche gli spazi, gli interni, gli alberi le montagne i vestiti e gli oggetti, e gli oggetti fanno parte della storia che vuoi raccontare, non sono semplici accessori, e da quel momento disegnare oggetti è stato più facile.
E come convivono il tuo muoverti in contesti più indie e underground come il fumetto e la musica e il confronto con aziende “istituzionali” come Alessi e Swatch?
Cerco di non scindere troppo le cose, nel senso che non cerco di alimentare una schizofrenia in cui quando sono underground faccio un po' quel che mi pare mentre quando entro nel mondo della produzione timbro il cartellino e mi metto a pensare da industriale. Per i miei lavori industriali cerco di non pormi troppi limiti, ma con un po' di sale in zucca. Non mi va di fare il lavoro 10 volte per trovare poi il prodotto che potenzialmente accontenta tutti, anche perché è obiettivamente impossibile, se avessi trovato questa formula farei sempre oggetti che vendono moltissimo. Mi pongo il problema che si deve trattare comunque di un'estensione del mio mondo, e di trovare i punti di convergenza tra il mio mondo e quello del committente. D'altra parte se un committente cerca me vuol dire che questo punto di contatto già esiste, e allora si parte da lì, più che dalla progettazione a tavolino di un "oggetto per tutti". Non esistono oggetti di design universali, a parte gli oggetti Apple, maledizione.
tessuto Memphis, 1990
La committenza incide sulle tue modalità progettuali? Mi sembra di ricordare un'intervista in cui raccontavi che per gli Swatch che hai disegnato negli anni novanta avevi pensato ad altri nomi, ma la casa madre all'epoca aveva optato per qualcosa di immediatamente più riconoscibile e riconducibile a te, come “Gulp” e Crash”...
Più che riconducibile a me, era riconducibile a una visione generica del mondo del fumetto, e dal momento che disegnavo fumetti i nomi Gulp e Crash andavano bene, no? Io non ricordo nemmeno i nomi avevo dato in origine, ma probabilmente avevano ragione loro. Quando anni dopo la Swatch mi richiamò per disegnare un nuovo orologio, disegnai un quadrante con due mostri gemelli che si mordevano la coda e lo intitolai "The Twitch Twins", che mi sembrava un divertente gioco di parole (in inglese suona un po' come "I gemelli Strapponi"). Il guaio fu che da una parte gli italiani non conoscevano bene l'inglese, dall'altra che foneticamente il nome era impronunciabile e suonava male, ma la Swatch rispettò la mia volontà d'autore. Morale della favola: quell'orologio vendette molto meno degli altri, e mi immagino ancora quelli dell'ufficio marketing e darsi di gomito e dirsi tra di loro "visto? Mai dare troppa libertà ai creativi!".
I tuoi lavori a uno sguardo superficiale sembrano estremamente vivaci e gioiosi. In realtà, sono riflessioni dure e amare sulla corruzione e malattia della società, sulla perdita di innocenza, sulla banalizzazione ed estremizzazione del sesso. Penso, ad esempio, alla recente serie “The Pop will eat himself”, a Mr. Suicide (il tappo per vasca da bagno antropomorfo del 2000 disegnato per Alessi), al Popeye project, del 2007, o alla serie Sexorcismo, del 2000... Possiamo parlare di pessimismo, di cinismo o di semplice e crudo realismo?
Non sono cinico, anzi, a dire la verità il cinismo mi ha molto stancato. Se giriamo su facebook troviamo spesso dei vari status in cui si fa a gara su chi se ne esce con la battuta più cinica e amorale. Io non sono così, sono casomai acido, ma pervaso da una specie di "pietas" nei confronti delle umani debolezze. Non ne sono schifato, ma ne sono partecipe, e a volte ne sento il peso, sento il peso della Storia, e di tutte le scelte sbagliate. Probabilmente è derivato dall'aver fatto le elementari dalle suore.
Il tuo progetto più riuscito?
Mi ero divertito molto con il progetto di Sexorcismo, il fatto di aver elaborato una mostra sul sesso sadomaso, i suoi rituali, e aver trovato una formula circense e gioiosa che metteva insieme disegno, pittura, performance, installazione e rock'n roll mi ha soddisfatto davvero. Devo dire che questo fu anche merito della galleria LipanjePuntin che all'epoca appoggiò in pieno questo progetto, che più che un progetto fu una vera esperienza, per me, per i miei collaboratori, per la galleria e per gli spettatori.
E uno non realizzato?
Non uno, ma molti. Restano nel cassetto così tanti progetti, e tra libri mai usciti, oggetti e progetti di mostre ne ho collezionati diversi. Un giorno mi piacerebbe fare una mostra intitolata "idee che non porterò mai a termine e che regalo a qualcuno più capace di me". Tra queste un torneo di boxe per artisti in cui in palio c'è la possibilità di rimanere nel mondo dell'arte contemporanea (chi perde si trova un altro lavoro), un diario di un anno fatto di ritratti ai personaggi della televisione, una mostra di fumetti da osservare al microscopio, etc….
Dall'elettronica con gli Spirocheta Pergoli all'art-rock con I nipoti del faraone fino alle performance come vocalist con i The Blass. Come sintetizzare le tue esperienze nella musica?
E' sempre stata una parte di me, e pur non essendo un musicista in senso stretto ho sempre prodotto musica in tutti questi anni, e con una certa consapevolezza. Non è mai stata per me una forma di hobby, ma una estensione del lavoro, anche se ho potuto applicarmici solo in maniera sporadica. I miei concerti, per quelli che li han visti, hanno un apparato performativo molto forte, anche se realizzato con materiali poveri. Sono vari siparietti musicali, che non sono solo divertenti, ma nascondono qualcosa di inquietante sotto pelle. Sono come i miei disegni, dietro il sorrisone intravedi il disastro imminente. Ernesto Luciano Francalanci, prefatore della mia mostra alla Triennale, l'ha rilevato. Queste ceramiche fanno paura, mi diceva. Infatti non ha voluto venire all'inaugurazione.
E nel 1996 esce il tuo album da solista Horror Vacui. Mi sembra una vera propria dichiarazione di poetica per tutto il tuo lavoro...
Già, anche se nel nuovo libro che sto disegnando su testi di Tiziano Scarpa per la prima volta affronto gli spazi vuoti, e ne sono felice, forse non ho più bisogno di avere troppe cose intorno a me.
Cosa leggi, guardi, ascolti? E che influenze ha sui tuoi immaginari?
Sono un onnivoro, ma sopratutto sono un cannibale di letteratura di genere (gialli, horror, noir, fantascienza), anche se dopo tutti questi anni ne conosco troppo i meccanismi per farmi sorprendere, e per questo sono diventato più selettivo. Mi piacciono molto le serie televisive contemporanee, ma posso passare anche ore a commentare Masterchef Italia, oppure rileggermi qualsiasi cosa scritta da Burroughs (che in una sola pagina poteva aveva idee per 4 libri), e poi amo la poesia delle pagine di Ballard (che in un caso è riuscito a farmi piangere). La mia playing list è davvero eclettica, ma deve contenere un elemento di disturbo, sono un fan della nota stonata. In questo momento ho appena ascoltato Satie, e mi appresto all'ascolto dell'ultimo disco solista di Jack White (ex White Stripes).
Progetti futuri?
Nuove serie di oggetti Alessi, questo nuovo libro per Rizzoli Lizard con Tiziano Scarpa di cui ti parlavo prima, una mostra a 4 al Museion di Bolzano con Diavù, Ale Giorgini e Alberto Corradi (disegnatori della scuderia di XL Magazine), una collaborazione con il Male di Vincino e Vauro, delle lampade per Foscarini…
Un ultimo aneddoto: il tuo incontro con Tiziano Scarpa che ha portato alla realizzazione del libro Amami (Mondadori 2007) vede in qualche modo coinvolta proprio Flash Art...
Certo! Si trattava della prima Flash Art Fair all'UNA Hotel di Milano, nel pieno della zona di Corso Como. Quando feci il primo sopralluogo all'hotel, dove ogni galleria aveva a disposizione una stanza (ancora con la Galleria LipanjePuntin, e grazie alla loro incoscienza), notai che tutto sommato non distava molto dall'estetica della stanza della casa di riposo in cui era morto mio padre, per cui feci un'istallazione furibonda, piena di rabbia, dove ricreai la stanza di mio papà, con il suo pigiama steso sul letto, e le sue medicine e la dentiera sul comodino, poi riempii la stanza di pannoloni da anziano dentro cui avevo disegnato delle cacche in stile cartoon. Su un video avevo ricreato in 3D il volto di mio padre che con un'animazione parlava senza sonoro, dal labiale si capiva che stava dicendo "A M A M I". Nel bagno, intanto, illuminati da una luce soffusa, erano stati appesi 100 disegnini con 100 personaggi che facevano cose terribili (uccidevano stupravano scopavano animali etc) dicendo "amami", e un nastro registrato riproduceva un bisbiglio di 100 voci che dicevano amami amami amami amamiiiii. Tiziano Scarpa (che mi conosceva già), passò a vedere la Fiera e si innamorò dell'installazione, manifestando il desiderio di trasformare i disegni in qualcosa di scritto… Questa idea venne realizzata anni dopo, per Mondadori (Oscar), Tiziano scrisse 60 raccontini partendo da 60 disegni selezionati da quel lavoro… Una volta tanto lo scritto nasceva dal disegno e non viceversa. A volte i libri seguono strani percorsi…